Nero d’Avola, c’era una volta un vino da taglio
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Questa è la storia di Nero d’Avola, che attraversa il Mediterraneo per trovare se stesso: vuole arrivare lontano, sulle tavole di tutti e diventare DOC. Ci riuscirà? Scopriamolo tra leggenda e realtà
Se diciamo Nero d’Avola a quale regione italiana pensi? Se hai mai assaggiato questo vino, la risposta non può che essere Sicilia. Eppure un tempo la sua terra lo presentava sotto “falsa etichetta”. Sia chiaro, per pura necessità. Erano diverse le cose nel Medioevo…
La storia del Nero d’Avola è avvincente; una linea molto sottile separa leggenda e verità.
Te la raccontiamo.
Nero d’Avola arriva nella bella Sicilia a bordo di grandi navi, quelle fenice. Voci di corridoio però riferiscono di averlo già visto alle pendici dell’Etna molti anni prima. Nero d’Avola nel II secolo a.C. è solo un vitigno, deve fare ancora tanta strada per diventare un’etichetta. A questo pensa il territorio isolano, che sa come proteggerlo e aiutarlo a diventare robusto: i monti Iblei fanno da scudo tra Siracusa, Catania e Ragusa e riparano le vallate in cui lui riposa. L’inverno è mite, non può scalfirlo.
Gli anni passano: Nero d’Avola cresce e, come ogni giovane che si affaccia alla vita da adulto, ha bisogno di nuovi orizzonti. Ma siamo nel ‘500, viaggiare da soli è incauto. Così si affida alle braccia dei commercianti della sua terra: i siciliani lo portano addirittura in Francia. Nero d’Avola è felice, sta realizzando un sogno; ma all’improvviso uno strano dubbio lo assale: per arrivare lontano deve conoscere le proprie origini. Perché si chiama così? Perché proprio Nero d’Avola? Scopre che il suo nome è legato alla parola sicula calaurisi da cui calea (uva) e aulisi (Avola); calaurisi vuol dire calabrese. Spiegato il dilemma: quegli adulatori dei francesi amano i vini calabresi e così i siciliani sono costretti ogni volta a darsi un pizzico e a dire che Nero d’Avola lo è. Che poi i francesi lo usano per rendere più corposi e colorati i loro vini, neanche sanno apprezzarlo a tavola!
Così Nero d’Avola, andato in Francia alla scoperta di terre nuove, scopre invece se stesso. I siciliani però hanno cuore e mente, sanno che Nero d’Avola merita molto di più. Allora iniziano a studiare, a capire e a inventare nuovi modi per valorizzarlo, per far venir fuori il meglio da quel vino da taglio e ci riescono: quando la volontà è tanta, le aspettative non deludono.
La vera storia del Nero d’Avola inizia da qui
Negli anni ’60 diverse aziende enologiche siciliane colgono le potenzialità di questo prodotto: il Nero d’Avola non può essere un semplice vino da taglio. Con nuove sperimentazioni cambiano alcuni aspetti della tecnica di lavorazione del vitigno e di produzione del vino, come abbassare il grado zuccherino, alzando quello di acidità. La trasformazione in vino da tavola dà frutti immediati: la coltivazione del vitigno Nero d’Avola si diffonde a macchia d’olio anche all’estero, in Australia e California; la sua fama diventa internazionale. Diverse aziende, da fuori regione, decidono di investire in Sicilia nella coltivazione del vigneto, ad alberello o a spalliera.
Il Nero d'Avola cresce e arriva in tavola
Per favorire uno sviluppo ottimale delle uve di Nero d'Avola, i vignaioli prediligono da sempre l'allevamento ad alberello o a spalliera. Il primo, caratteristico del Sud Italia, favorisce la produttività in condizioni sfavorevoli del clima e del suolo, come in caso di siccità o di terreni poveri. Così, in alcuni campi della bella Sicilia, il Nero d'Avola non ha filari, ma è un piccolo albero, al di sotto di un metro di altezza, capace di sfruttare le poche risorse offerte da una natura piuttosto severa. Con il metodo a spalliera, invece, le uve di Nero d'Avola si dispongono su fili sostenuti dai pali: il vigneto ha un aspetto più familiare.
Oggi il Nero d’Avola è protagonista tra i grandi vini italiani DOC e DOCG. Il vitigno viene abbinato spesso all’altro grande siciliano, il Syrah. Le caratteristiche del vino invece sono legate alla zona specifica di coltivazione delle uve. Da questo punto di vista è possibile dividere la Sicilia in tre macro-aree, quella occidentale, centrale e orientale. Nella prima zona, quella a ovest, viene prodotto un vino più spigoloso e violento al palato; al centro un vino dal profumo più intenso e con note di frutta rossa; nella zona orientale infine il Nero d’Avola è più raffinato, con sottofondo di frutta secca. È quest'ultima la sua area di origine. Le contrade di Noto e Pachino godono di terreni calcarei e clima secco e ventilato, influenzato dalla brezza del mare: qui il Nero d'Avola raggiunge alti livelli qualitativi.
Insomma, ne ha fatta di strada quel “povero” vino da taglio! Oggi ha un aspetto così giovane e vivace, un colorito rosso rubino intenso, con riflessi violacei. Col passare degli anni il suo carattere sembra complicarsi: l’aroma cambia, assume profumi con note di viola e spezie, prugna, frutti rossi, cioccolato e tabacco. Appare quasi austero, ma non lo è; il Nero d’Avola sa essere sempre garbato. È morbido, ha grande spessore e struttura; sa equilibrare in maniera eccellente tannini e acidità.
Il Nero d’Avola non adora il freddo, lui è siciliano: vuole essere servito a 18/20 gradi in un ampio calice, così può ossigenarsi. Gli piace stare a tavola con grandi arrosti, carni rosse e selvaggina, ma anche con formaggi saporiti. Insomma, gradisce l’ottima compagnia, specie se dello stesso territorio - a riguardo suggeriamo di leggere Nero d'Avola, tre modi di gustarlo "alla siciliana".
Vuoi invitarlo a tavola? Poi, raccontaci com’è andata.
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